Buone ragioni per registrare a 192Khz

Come montatore di effetti sonori preferisco sempre utilizzare suoni registrati ad hoc per il progetto su cui sto lavorando cercando di limitare al massimo l’uso di suoni presi dalle librerie commerciali; non è per una questione di purismo a tutti i costi. Le ragioni sono molte, innanzi tutto la qualità di queste librerie. Le più diffuse sono state create in anni passati con tecnologie anni 80 e distribuite in formato CD audio con una frequenza di campionamento pari a 44.100 Hz e 16 Bit di risoluzione, a costi spesso proibitivi, un’altra ragione è l’uso smodato che se ne è fatto nel tempo, a volte mi capita di riconoscere lo stesso preciso identico suono in più film, e mi passa tutta la poesia…per fortuna sta nascendo un circuito di distribuzione indipendente che veicola suoni registrati di recente, a risoluzioni maggiori e con prezzi abbordabili. (in uno dei prossimi post segnalerò quelli che conosco)

In realtà la ragione principale che mi spinge ad usare suoni ad hoc è che adoro uscire con microfono e registratore e creare il mio personale archivio, volete mettere la soddisfazione di avere determinate cose solo ed esclusivamente voi?

Nel cinema, a differenza della musica, lo standard digitale per la registrazione e la riproduzione del suono è di 48Khz e, da qualche anno, 24Bit. Ed io, come molti, ho sempre registrato i miei suoni con questo tipo di formato, da qualche tempo ho iniziato a catalogare suoni ad una risoluzione maggiore cioè 96Khz 24Bit, questo perché se in futuro dovesse presentarsi l’occasione non sarò del tutto impreparato. Alcuni colleghi pensano che questo tipo di operazione sia superflua, ma io sono convinto del contrario, anzi a volte, in casi particolari, mi spingo anche oltre e registro a 192Khz (esagerato!)

Vi spiego le mie motivazioni, pratiche prima e teoriche dopo.

La questione pratica: spesso ci si ritrova a dover inventare suoni che non esistono o a dover adattare le “dimensioni” di un suono a qualcosa di più grande (o più piccolo). Il metodo principale per questo tipo di operazione è il Pitch ed il Time stretch, spesso anche molto estremi. Il campionamento a 48Khz offre una risoluzione doppia rispetto al range udibile dall’uomo, quindi se si esegue un rallentamento che genera un pitch pari all’ottava inferiore su un suono (cioè si dimezza la tonalità) continueremo a sentire una certa integrità del suono rallentato, ma se iniziamo a diminuire ulteriormente la velocità cominceremo a sentire artefatti digitali indesiderati. Volendo azzardare un parallelismo fotografico pensiamo all’ingrandimento di un’immagine digitale; meno è definita prima percepiamo il reticolo di pixel che la costituisce mentre la si zooma.
Lavorare a 96Khz dà la possibilità di arrivare a quattro ottave più in basso prima del degrado e 192Khz ad otto ottave. Non male come cosa se si è sempre alla ricerca d

i timbriche nuove.

Ma cosa succede al suono quando lo si rallenta? In pratica si cambia la tonalità, spiegandolo in termini musicali si cambia la nota, spiegandolo in termini fisici rallentando il segnale si opera sulle onde sonore campionate, cambiandone la frequenza.
Se prendiamo come ipotesi un rallentamento pari alla metà della velocità del suono originale, vedremo che la componente 10.000Hz dello spettro originale diventerà 5000Hz. Semplice no? Ma cosa succede al segnale rallentato che stà oltre i 20Khz?

I microfoni standard per una questione di economia di progettazione non catturano le frequenze oltre i 20Khz, cioè non traducono in segnale elettrico le onde sonore che stanno oltre lo spettro udibile dall’uomo. Quindi la risposta all’ultima domanda è che non succede nulla, perché non ci stanno informazioni registrate oltre quella soglia. Peccato.
Per fortuna esistono microfoni particolari come il Sennheiser MKH 800, l’Earthworks QT50 ed i DPA 4004 e 4007, che captano il segnale flat ben oltre la nostra soglia uditiva arrivando fino a 50Khz! Quindi rallentando un segnale di questo tipo, riusciamo a far rientrare nello spettro uditivo gli ultrasuoni captati e registrati, riuscendo ad ascoltare come si muove il suono oltre le nostre normali percezioni. Va da se che per il tipo di ricerca sonora in questione il campionamento a 192Khz è d’obbligo.

Se non vi ho stressato troppo passerei alla questione teorica.

I massimi sistemi:Da quando si è affermato il Compact Disc come standard ci hanno sempre indotto a pensare che la frequenza di campionamento 44.1Khz fosse sufficiente a tradurre il suono in segnale digitale, e che fosse superfluo spingersi oltre perché questo valore è ben più del doppio dello spettro udibile. Infatti strumenti come il Synclavier, che campionavano a 100Khz, erano precedenti al CD.
Comunque, sembrerebbe, che l’anatomia dell’orecchio umano, e in generale l’udito, non confermino questa ipotesi, anzi pare che ci siano dei dispositivi biologici che, più che fare una semplice analisi delle frequenze di un suono, facciano un’analisi della forma d’onda in tutte le sue parti prima di inviare le informazioni al cervello. Questo mi induce a pensare che maggiore è la risoluzione dell’onda, maggiore è il realismo di un suono. Credere che basti solo il doppio rispetto allo spettro percepibile mi sembra un po riduttivo.
Per approfondimenti vi consiglio di leggere (in inglese) questo documento redatto dal fondatore della Earthworks, dove esprime in maniera approfondita le sue ragioni per utilizzare delle tecnologie audio a maggiore risoluzione.

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Mirko Perri